Bambini, che ne dite di fare un piccolo dono a mamma e papà?

babbo  natale con regali e renne

Bimbi, manca un solo giorno alla notte di natale, siete pronti? Avete fatto i bravi?
Che ne dite, facciamo un piccolo dono prezioso a mamma e papà?

campane di  natale

Per esempio un disegno con una poesia o un biglietto di auguri? Sì? 
Allora coraggio, prendete l'occorrente: un bel foglio, tante matite colorate e pastelli,
se volete anche un poco di polverina d'oro o d'argento, o qualcuno di quei tubetti speciali
che contengono colori con i brillantini.

immagine natale

Forse potete farvi aiutare da un fratellino o una sorellina più grandi
oppure qualche zia, che però sappiano mantenere i segreti, mi raccomando!

gif animate ispirato al Natale

Ora, armati della vostra insuperabile fantasia, all'opera! Disegnate
qualcosa che vi piace tanto o piace a mamma e papà, e poi coloratelo. 
Potete decorare tutto intorno il foglio con una bella cornicina, 
come una di queste per esempio:


Bianco Natale - Gif
Cornicette di Natale in natale
 pungitopo glitterato

Cornicette di Natale in natale

glitter palla natalizia rossa e oro

Cornicette di Natale in natale
pungitopo gif

Cornicette per Natale da colorare in natale
gif animata 3d

Letterine di Natale da stampare


Scatena la tua fantasia, piccolo grande Mago, e buon Natale!

Ai bimbi buoni arrivano doni



Prepara il pancino mio caro bambino
Arrivano torte, il Natale è alle porte!
Cè il panettone se sei un ghiottone
E il cioccolato mio bimbo adorato
Con babbo Natale sii ospitale
Vien giù dal camino tu dagli un cuscino
Fagli un sorriso vien giù all'improvviso
E allarga le braccia appena si affaccia
Io ti prometto mio dolce angioletto
Che porta un bel dono se sei stato buono!





Le magiche avventure di Ben quarto episodio: La foresta incantata

Prima parte


L'aria era come un oceano tinto di sangue. Ribolliva minacciosa trafitta da fulmini color acciaio e improvvisi squarci di viola.
Ben tentava di guardare dai finestrini dell'automobile capovolta, appeso alla cintura di sicurezza a testa in giù, mentre il fragore dell'uragano si univa a un preoccupante stridere di lamiere contorte.
Come al solito il papà urlava a più non posso aggrappato al volante, ignaro del fatto che quel tremendo ciclone era in realtà un vortice spazio temporale, e trasportava la macchina su mondi sperduti nell'universo.
Non poteva saperlo perché, stranamente, subito dopo ogni atterraggio cadeva in un sonno profondo, per risvegliarsi quando il tornado ricominciava la sua giostra cosmica.
Benvenuto, nel frattempo, si stava chiedendo dove sarebbero finiti questa volta e manteneva un eroico sangue freddo.
Tuttavia non aveva la certezza di restare illeso a ogni approdo, né che la destinazione fosse sicuramente un luogo amichevole. Comunque, dato che preoccuparsi non serviva a niente, cercava di restare calmo, tanto ci pensava il ciclone ad agitarlo come un frullato!
All'improvviso tutto quel fracasso finì, come se qualcuno avesse spento il volume, e l'automobile cominciò a precipitare velocissima nel silenzio assoluto.
Quello sì che preoccupò molto Benvenuto, il quale si aspettava un devastante impatto al suolo.
Invece non successe niente, l'auto si fermò senza danni, e ancora una volta lui e il papà erano sani e salvi.
Ora vedeva solo verde tutto attorno, ma prima di slacciare la cintura e uscire dalla macchina, verificò che fossero davvero atterrati su qualcosa, quindi tirò giù il finestrino e guardò fuori.
I pneumatici della vettura sprofondavano dentro una morbida, folta e verdissima vegetazione e Ben, rassicurato, scese a terra.
Non lo aveva mai visto un verde così intenso; l'erba, i cespugli, le foglie degli alberi, gli arbusti, tutto era gigantesco e brillava come un forziere colmo di smeraldi.
Anzi, forse gli smeraldi c'erano davvero: dal terreno spuntavano, infatti, qua e là dei magnifici prismi di cristallo, trasparenti, lucidi e verdi come ghiaccioli alla menta.
Anche l'aria profumava di menta; e profumava di more, che facevano l'occhiolino dai cespugli, invitanti e polpose; sapeva di fragole, che dondolavano allegre dalle loro piantine; e... sorpresa, anche di biscotto.
Sì proprio di biscotto, perché da piante che non aveva mai visto, si levava un delizioso profumo di zenzero e di cannella, lo stesso invitante aroma dei superlativi biscotti della nonna.
Poi c'era l'amaro stuzzicante del rabarbaro, e un sognante odore di resina che trasudava dai tronchi, imperlati di gocciole d'ambra che sembravano lacrime d'oro.
Benvenuto continuava a girarsi da tutte le parti, estasiato da ciò che vedeva.
Ancora una volta, come dopo gli altri viaggi tempestosi, pensò che forse era morto, ma se quello era il paradiso, il Creatore ce l'aveva messa proprio tutta per renderlo meraviglioso!
«Hai sete?»
La voce melodiosa proveniva dall'alto. Infatti, graziosamente seduta sopra a un ramo, una fata stava osservando Ben.
Era talmente bella nella sua veste verde bosco trapunta di fiori e i lunghi capelli color del vino, le ali finissime simili a quelle di una farfalla e la carnagione diafana che spiccava tra le foglie dell'albero, talmente affascinante che Benvenuto rimase a guardarla a bocca aperta come un'ebete.
D'altra parte era una fata, e le fate sono belle!


«Mi chiamo Alma» disse, e volò aggraziata giù dal ramo per offrire acqua di rugiada al bambino dal calice di un giglio.
Benvenuto si dissetò, poi tirò fuori il naso sporco di giallo pistillo dal calice e sorrise con la sua bocca un po' sdentata (gli stavano crescendo i dentini nuovi). Si leccò anche le labbra, non aveva mai bevuto un'acqua tanto buona!
«L'aria è purissima qui, e la pioggia che si raccoglie nel grembo delle foglie, tra i petali dei fiori e nei ruscelli è benedetta dal sole. Per questo sembra un nettare al palato ed è carica di vita».
Infatti Benvenuto si sentiva benissimo, anche se un po' strano, e continuava a sorridere come se fosse ubriaco! Era molto buffo e la fata rise divertita mentre gli porgeva una manciata di lamponi.
Quando il bambino li mise in bocca e cominciò a deglutire il dolce asprigno dei piccoli frutti, il suo sorriso si tramutò in singhiozzi di risa, sempre più forti, sempre più divertiti, tanto che si sbrodolò tutto di succo rosso.
«La natura incontaminata è briosa di energia, esplode di bellezza, gronda di felicità. Quando possiamo dissetarci e nutrirci dei suoi doni, restiamo contagiati dalla stessa energia e felicità».
«Ho bevuto acqua magica e mangiato lamponi fatati?»
chiese Ben che non riusciva a smettere di ridere e sputacchiare.
«Sì, e potresti farlo anche nel tuo mondo ma gli umani sporcano l'acqua, intossicano l'aria e avvelenano il cibo; non si rendono conto che se soffre il pianeta, soffrono anche loro! I pianeti sono vivi e respirano insieme alle creature che li abitano».
Benvenuto non riusciva a diventare triste nemmeno a quelle parole così gravi perché aveva nel corpo l'energia del sole e l'allegria dei lamponi. Tuttavia si fermò a riflettere sul contadino Amilcare, che veniva la domenica a casa sua carico di cassette di frutta, verdura, legumi e cereali. Papà e mamma si fidavano dei suoi prodotti, quindi anche i suoi genitori sapevano che il cibo naturale è magico!
In quel momento udì il suono vellutato di un flauto.
Alma si librò in un volo a mezz'aria e fece al bambino un gesto eloquente perché la seguisse.
Ben saltellò dietro la fata nel tentativo di volare anche lui: sul pianeta della fatina Amistad c'era riuscito! Macché, niente da fare, in quel paradiso lussureggiante esisteva la stessa legge di gravità del pianeta terra: o hai le ali per volare o te la fai a piedi!
Comunque, zompettando come un coniglio dietro ad Alma che scivolava leggera nell'aria, e dopo aver attraversato un roseto spettacolare e intensamente profumato, s'imbatté in un'altra fata.
Era minuscola e tutta azzurra, un esserino così piccolo che sarebbe potuto stare nel palmo della sua mano. Teneva tra le mani un uovo altrettanto piccolo ma, date le dimensioni di lei, pareva enorme.


«Dove te ne vai piccola Esrda?» chiese Alma che invece era alta come una donna.
«Puff puff» rispose Esrda evidentemente affaticata dal suo fardello.
«Questo uovo di colibrì è caduto dal nido, devo rimetterlo al suo posto».
«Ti aiuto io!» disse Benvenuto con aria un po' spavalda.
Era l'ometto del gruppo e voleva fare il cavaliere! «Mostrami dov'è il nido» aggiunse, soddisfatto di sé.
«Hem... lassù...». Esdra puntò il suo piccolo indice verso sommità di un albero.
Ben alzò gli occhi sulla chioma di quella grande quercia, tanto alta che non ne vedeva la fine.
«Dove?» chiese scrutando preoccupato la circonferenza del tronco, troppo larga per poterlo abbracciare in una arrampicata.
«Sopra l'ultimo ramo... » rispose la fata con un sorrisetto beffardo.
Benvenuto prese l'uovo dalle mani di Esdra, lo mise delicatamente in tasca e si avvicinò alla quercia per studiare il modo di scalarla. Aveva sempre temuto le grandi altezze ma doveva farcela, oibò, ne andava del suo onore! Così iniziò a salire e filò tutto liscio finché non contravvenne a una legge ferrea per chi teme le vertigini: mai guardare giù.
Sfortunatamente se ne dimenticò a quattro metri di altezza, e appena vide le due fate che lo guardavano trepidanti da terra, gli girò la testa e si spaventò moltissimo.
Non riusciva più né a salire né a scendere, il terrore lo aveva paralizzato.
«Coraggio piccolo, puoi farcela!».
Chi aveva parlato? Quella voce profonda e legnosa sembrava venire dall'albero!


«Chi sei? Dove sei?» chiese Ben girando solo gli occhi perché temeva di perdere l'equilibrio e di cadere, se avesse mosso anche un solo muscolo.
«Sono io, Ippazio la quercia, e mi stai facendo il solletico!»
«Una quercia parlante?» Nonostante i suoi strani incontri Ben riusciva ancora a meravigliarsi.
«A dire il vero so fare cose molto più importanti che parlare! So vivere più a lungo di tutte le creature e sono così bravo in chimica che trasformo l'acqua e la luce nell'ossigeno che respiri».
«Sai anche come devo fare per uscire da questa brutta situazione? Ho una paura matta, ma non dirlo alle ragazze laggiù!» Ben parlava con un filo di voce avvinghiato stretto stretto all'albero.
«Figliolo, quando si vuole salire, non si deve guardare verso il basso ma verso l'alto! Devi pensare solo alla cima che vuoi raggiungere. Come quando cammini e vuoi arrivare a una destinazione, non ci arriverai mai se ti guardi sempre indietro! Inoltre, se giri troppo la testa per vedere cos'hai lasciato, rischi anche di sbatterla da qualche parte!» rispose l'albero aggiungendo una grassa risata.
Rincuorato da quelle parole, Ben riprese a salire e in breve arrivò sull'ultimo ramo, dove mamma colibrì pigolava angosciata per la perdita del suo uovo.
Quando il bimbo lo depositò nel nido, l'uccello intonò un cinguettio di gioiosa gratitudine e strofinò la testina blu contro la guancia del suo eroe.
Anche la discesa non fu un'impresa facile, Ben rischiò più volte di cadere, e un piede messo in fallo strappò un grido di spavento alle fate che lo attendavano ai piedi della quercia.
Ma infine andò tutto bene, la missione era compiuta e lui si sentiva davvero un eroe!
Che sensazione esaltante aver vinto una delle sue più grandi paure! Ora le braccia e le gambe sembravano diventate più forti, come se avesse conquistato qualche super potere.
Mentre piegava l'avambraccio per gonfiare il bicipite, il muscolo della parte alta del suo braccio, e verificare se fosse cresciuto davvero, Esdra e Alma si guardarono e trattennero una risatina.
«Andiamo» disse la fata più alta tendendo l'orecchio al melodioso suono del flauto che non aveva smesso di suonare.
«Ciao Ippazio» disse Ben, e abbracciò l'albero perché provava già nostalgia al pensiero di lasciarlo.
«Buon viaggio» rispose la quercia. «Non posso venire con voi, ma io non ho bisogno di muovermi per viaggiare. Lo fa il vento per me; corre nella foresta, di albero in albero, sussurra e racconta tutto ciò che accade. Lo fanno gli uccellini che cinguettano gli ultimi pettegolezzi di ramo in ramo, e le ondine, bisbigliando le novità all'acqua che disseta le mie radici. Lo fanno gli gnomi che nutrono la terra nella quale cresco, e le fate, quando lucidano le mie foglie cantando gioiose. Insomma, sono sempre informatissimo e in buona compagnia!»
Di nuovo la saggia quercia rise.
Con Alma davanti a mostrare il cammino e Ben dietro a trotterellare con la minuscola Esdra sulla spalla che sembrava un pappagallino azzurro, il piccolo gruppo s'inoltrò nella foresta.





Le magiche avventure di Ben terzo episodio: Anilila e il mondo di cristallo

Grazia Catelli Siscar

Anilila e il mondo di cristallo



L'automobile dentro la quale viaggiavano Benvenuto e il suo papà, ancora una volta si mise a fare capriole, piroette, saliscendi e tutta una serie di pericolose rivoluzioni, sbatacchiata senza pietà dall'uragano.
Papà Alfredo urlava a squarciagola che tutto sarebbe finito nel migliore dei modi, per rassicurare il figlioletto seduto dietro. Un atteggiamento che però non rincuorava affatto! Terrorizzato in realtà più lui del bambino, si aggrappava al volante bisbigliando patteggiamenti con il Creatore: «Signore del Cielo, ti prego aiutaci ad arrivare a casa sani e salvi e io prometto che aggiusterò la televisione a zio Lorenzo (cosa che rimandava da tempo), prometto che non barerò più a carte con Ernesto (il suo migliore amico che si divertiva a vedere sconfitto per poi prenderlo in giro), prometto che farò pace con Fufi anche se mi ringhia sempre contro (il grosso cane dei vicini)...»
Benvenuto, al contrario, non era spaventato perché sapeva la verità, ovvero che il ciclone era una sorta di veicolo magico per viaggiare verso luoghi e avventure straordinari. Infatti, come già era accaduto, all'improvviso tutto quel fragore finì e l'automobile planò, questa volta leggera e senza danni, sopra ad un pianeta bianco. Il bambino volle sincerarsi che il padre stesse bene, prima di scendere dalla vettura, nonostante la certezza di trovarlo addormentato. Infatti, come dopo ogni atterraggio in quei mondi strani ai quali il ciclone li conduceva, il papà stava ronfando ignaro e beato come un ghiro. Benvenuto aprì la portiera e saltò giù. Lo fece incautamente, senza guardare dove metteva i piedi, e avrebbe desiderato volare in quel preciso momento perché i suoi piedi erano spariti! Li tirò su rapidamente, uno per volta e ce li aveva ancora, che sollievo! Erano solo immersi in una bassa e densa nebbiolina celeste pallido pallido, quasi bianca, la quale ricopriva tutto il suolo. Si guardò intorno: il cielo e l'aria avevano lo stesso colore ceruleo, che è una sorta di azzurrino morbido e delicato, quasi pastoso. E proprio perché tutto aveva quasi lo stesso colore, non era possibile vedere un orizzonte, cioè un confine tra il cielo e la terra. Comunque, basso approssimativamente come all'ora del tramonto o dell'alba (sembrava difficile stabilire l'ora del giorno in quel pianeta) qualcosa se ne stava appeso lassù. Forse era un sole, però aveva l'aspetto di un gigantesco diamante. Cristallino, trasparente e sfaccettato, roteava lento rifrangendo la luce e la scomponeva in un milione di raggi colorati. Uno spettacolo stupefacente!
Benvenuto rimase con la bocca aperta e il naso per aria a lungo, incapace di distogliere lo sguardo.
Anche le forme di vita sembravano fatte di cristallo, perché spuntavano dalla nebbiolina del terreno e si ergevano e si ramificavano come alberi di limpidissimo ghiaccio. Si avvicinò per toccarne uno, voleva sfiorare con le dita la superficie levigata e lucida e capire se erano freddi o chissà, forse invece caldi. Non era più sicuro di niente. In fondo era già approdato, nella sua prima avventura, in un mondo fatto tutto al rovescio, dove l'aria era verde e i prati blu, nel cielo splendevano ben due soli e per giunta rosa, e fiori giganteschi sovrastavano alberi minuscoli. Aveva conosciuto, nel secondo accidentato viaggio, una fatina smemorata e dolcissima che sapeva fare cose incredibili e un'orco cattivo che sognava di essere un super eroe buono. Insomma, doveva aspettarsi di tutto ed essere pronto alle più strabilianti sorprese. Quindi saltellò goffamente fino all'albero più vicino; saltellava ed era goffo perché camminare senza vedersi i piedi gli faceva uno strano effetto. Tuttavia, quando provò a toccare l'esile e trasparente fusto, ciò accadde fu molto più che strano! Non riuscì proprio a toccarlo, acchiapparlo, sfiorarlo, niente di niente, era come fatto d'aria. Allungò più volte la mano, ma niente da fare. L'albero era lì, davanti ai suoi occhi, perbacco lo vedeva bene! Eppure non aveva consistenza: la sua mano passava attraverso quella cosa come se non esistesse!
«Non puoi toccare un pensiero...»
A quelle parole, che non capiva da quale direzione provenissero e soprattutto da chi, Ben si voltò.
Vide una creatura luminosa, anch'essa quasi trasparente.



«Ciao bambino» disse ancora la creatura senza muovere la bocca e Ben capì che la voce proveniva indubbiamente da quell'essere, perché non c'era nessun'altro nei paraggi. Una voce strana, che pareva quasi una melodia, ma soprattutto era come se gli cantasse direttamente nel cervello.
«Sì bambino, parlo nella tua mente. Qui non abbiamo bisogno delle parole».
«Wow!» esclamò Ben, che stava pensando ad Amistad, l'amica fatina. Anche lei sapeva leggere nel pensiero, però lui non sentiva la sua voce parlargli nella testa!
«Si chiama telepatia» precisò l'essere trasparente.
Benvenuto non disse altro; era incantato dalla bellezza stravagante di quella forma di vita e ne aveva anche un po' soggezione. Volava così etereo, luminoso e leggero nell'aria celeste, accanto all'albero di vetro e sotto al sole di cristallo... pareva la visione di un bel sogno.
Gli balenò un pensiero preoccupante, improvviso come una frecciata: "Sono morto! Ci siamo sfracellati a causa dell'uragano e questo è l'aldilà!"
Ma a quel punto gli rimbombò in testa la risata della creatura. Tintinnante e cristallina come tutto il resto.
«Mi chiamo Nilil e siamo nel mondo di Ighilor» chiarì l'uomo trasparente, ovviamente leggendogli il pensiero.
Ben avrebbe voluto toccarlo per sapere se anche lui era fatto d'aria, ma non osava.
«Puoi farlo se vuoi, ma la mia materia è più leggera della tua, quindi la tua mano mi attraverserà, come ha attraversato l'albero» disse Nilil continuando a leggere nella mente del bambino.
Ben allungò esitante il suo indice destro verso quella strano personaggio ma, come annunciato, non lo sfiorò nemmeno, il suo dito passò la creatura da parte a parte.
«Perché qui non posso toccare niente?» si decise infine a chiedere.
«Perché qui le nostre vibrazioni sono più veloci delle tue e questo ci rende leggeri e trasparenti».
«Cos'è una vibrazione?» Benvenuto voleva proprio capire, ma temeva che non sarebbe stato in grado di comprendere la risposta.
Nilil guardò il bambino con tenerezza e disse: «Tutto ciò che esiste nell'universo, le stelle, i pianeti, le creature viventi, gli oggetti, tutto, dentro, è fatto di speciali palline piccolissime che non stanno mai ferme perché vibrano come matte! Tuttavia sono così piccole che per vederle è necessario un microscopio. Queste palline si chiamano atomi. L'acqua, l'aria, i sassi, il tuo corpo, il libro di favole che vuoi comprare, la crostata della tua mamma... tutto insomma è fatto proprio così... di palline! Queste palline non sono attaccate tra loro, anzi tra l'una e l'altra c'è tanto spazio vuoto, e si muovono, vibrano tutte, ma non tutte alla stessa velocità. Alcune camminano, altre corrono, altre sfrecciano!».
«Anche la dentiera della nonna vibra? Per questo le vola sempre via?» interruppe Ben.
Nilil rise cristallino: «Sì, anche la dentiera della nonna vibra!»
«Anche il mio corpo?»
«Certo, anche il tuo corpo! A te sembra solido, duro, ma se tu potessi vederlo al microscopio, scopriresti che in realtà è vuoto, perché c'è un sacco di spazio tra una pallina e l'altra; c'è così tanto spazio che le cose più leggere, come lo sono ad esempio la luce e l'aria, ci possono passare in mezzo e attraversarlo».
Dopo quella spiegazione Ben cominciò a guardarsi le mani per capire come potessero esser fatte di tante palline minuscole e con tanto vuoto in mezzo. A lui sembravano le solite mani di sempre!
«Quando una cosa è fatta di tante palline lente, allora quella cosa lì la puoi toccare: il sasso, la dentiera della nonna, le tue mani, li puoi toccare» riprese a spiegare Nilil. «Quando le cose sono fatte invece di palline che corrono, come il vapore o il vento, diventano tanto leggere che non puoi toccarle. E se una cosa è fatta di palline velocissime, non solo non la puoi toccare, ma addirittura non la puoi nemmeno vedere, come un pensiero, ad esempio».
«I pensieri sono cose?» chiese Ben davvero stupito da quell'affermazione.
«Certo, i pensieri sono cose, ma le loro palline vibrano a una tale velocità da renderli invisibili. E sono più veloci della luce! Se dal tuo pianeta terra mandi un pensiero e un raggio di luce su Marte e li spedisci insieme, il pensiero arriva prima, è istantaneo!»
«Vero!» esclamò Ben. «Io con il pensiero vado sempre sulla luna e sulle stelle e ci arrivo in un baleno!»
«Certo. E devi sapere che le cose invisibili sono molto potenti. Il pensiero, infatti, ha grandissimi poteri, per questo motivo va saputo usare».
«Cosa può fare un pensiero?» La mente di Ben era in fermento perché aveva capito tutto, e l'argomento non poteva essere più eccitante per lui che desiderava diventare un mago!
«Sì, puoi diventare un vero mago se impari a usare il pensiero» disse Nilil per il quale la mente di Benvenuto non aveva segreti. Poi alzò lo sguardo e indicò il cielo.
«Guarda!» esclamò.
Ben alzò gli occhi a sua volta e vide un drago, anch'esso trasparente come il cristallo, dirigersi in picchiata verso di loro.


«Haaa!» gridò spaventato quando il gigantesco volatile atterrò a pochi passi da lui. Tuttavia ebbe immediatamente un pensiero rassicurante: un drago di cristallo non può sputare fuoco! No infatti, ma proprio mentre Ben stava pensando a questo, il mostro sputò un violentissimo getto bianco come ghiaccio, o come azoto liquido, che congelò all'istante il suo berretto. A quel punto il berretto gli cadde dalla testa e si frantumò al suolo in mille pezzi, proprio come il cavallino di cristallo della mamma che Ben aveva fatto cadere giocando a pallone. Il suo corpo non era stato colpito dal soffio tremendo del drago, ma la paura lo paralizzava come se fosse congelato anche lui, e ora sembrava una statua di ghiaccio.
«Sei davvero buffo con quell'espressione spaventata! Non temere, il drago è innocuo, l'ho creato io con il mio pensiero». Nilil parlava e sorrideva canzonando un po' il bambino.
«Come fai a creare con il pensiero?» chiese Ben con una specie di mugugno, perché non muoveva nemmeno un muscolo, quasi nemmeno la bocca, sempre per via della fifa, e adesso non sembrava più una statua di ghiaccio ma una mummia imbalsamata!
«Come ti dicevo, il pensiero è qualcosa di potentissimo. Può creare tutto quello che vuoi, può creare le tue avventure e tutta la realtà che ti circonda. Questo mondo, Ighilor, è una creazione dei nostri pensieri».
«È difficile creare con il pensiero?»
«No, ma è necessario conoscere le istruzioni. Devi pensare all'avventura che desideri, immaginarla con tutta la potenza della tua mente e avere fede che succederà. Una fede cieca».
«Sembra una cosa facile!» esultò Ben.
«Lo sarebbe se non ci fosse di mezzo il dubbio. Il dubbio di non riuscire, di non esserne capace. Bisogna credere in se stessi e nell'universo che ha creato questa legge perfetta. La chiave è la fede. Sei certamente un mago, ma devi crederci tu per primo e devi avere fede nella tua magia».
«Perché hai creato un drago?» chiese ancora il bambino, affascinato dalle cose che gli insegnava Nilil.
«Per condurti in un luogo preciso dentro la città di Ighilor. Non sai volare con il pensiero, hai bisogno di un mezzo di trasporto».
A quelle parole il drago piegò le zampe anteriori e chinò la testa perché Benvenuto e Nilil potessero saltargli in groppa.
Ben capì, ma obbiettò: «Non posso toccare il drago, è fatto come te e come l'albero, quindi non posso nemmeno salirci sopra!»
«Non preoccuparti» rispose il suo nuovo, trasparente amico. Subito dopo quella frase Ben avvertì un calore fortissimo; per un'attimo gli parve di prendere fuoco, poi sentì una scarica elettrica e cominciò a vibrare come quando aveva la febbre alta ma molto più forte, come se dovesse esplodere. Ebbe una paura tremenda, pensò di morire. Quando la sensazione finì, stava luccicando tutto e si guardò di nuovo le mani: ora sembravano di gelatina trasparente! Che cosa assurda gli stava capitando?
«Non preoccuparti bambino, ti ho colpito con uno speciale raggio "termogenico"».
«Un raggio termo cosa?» chiese Ben continuando a guardare sbigottito il suo corpo trasparente.
«Un raggio che provoca molto calore e in questo modo aumenta la velocità delle palline di cui è fatto il tuo corpo. Adesso vibrano così veloci che sei diventato più leggero. Tuttavia non potrai mantenere a lungo questa forma, rischi la disgregazione».
«La disgregazione?» ripeté Ben a pappagallo, in stato confusionale.
«Sì, la disgregazione, cioè le palline del tuo corpo potrebbero sparpagliarsi nell'aria di Ighilor e allora tu non esisteresti più. Vieni, abbiamo poco tempo; ora puoi salire sul drago».
Nilil volò in groppa alla creatura alata, invece Ben restò immobile, paralizzato dall'orribile pensiero del suo corpo soffiato via come i bollini di carta dei coriandoli.
«Coraggio, salta su!» lo esortò Nilil.
Benvenuto obbedì e appena fu in sella al drago, questi si alzò in volo e sfrecciò via nell'aria cerulea.
«Dove stiamo andando?» chiese mentre si aggrappava con le sue mani di gelatina trasparente alla cresta dorsale del mostro che sembrava fatta di taglienti squame vetrose.
«Da una giovane creatura di Ighilor che spero tu possa aiutare».
«Aiutare io uno di voi? Ma sapete fare molte più cose di me. Io sono solo un bambino umano!» rispose Ben mentre abbassava la testa per schivare il ramo di un albero contro il quale pareva lanciato il drago a tutta velocità (dimenticando che a Ighilor era tutto vaporoso).
«Gli umani sono creature molto potenti, in particolare i bambini; sono tutti piccoli maghi, non lo sapevi?» precisò Nilil.
Benvenuto non rispose. Assunse una postura più eretta e fiera mentre saettava dell'aria azzurrina a cavalcioni del mostro volante, e uno scintillio d'orgoglio balenò nei suoi occhi. Ebbene sì, lo aveva sempre sospettato di essere un mago!
Il drago fece una pericolosa virata e una discesa in avvitamento, come un aereo che perde il controllo.
Mentre Ben pensava a quanto sarebbe stato meglio che Nilil avesse materializzato un mezzo di trasporto meno inquietante, come ad esempio un poetico Unicorno alato, vide finalmente la città di Ighilor. Adamantina e luminosa come tutto il resto e sospesa nel vuoto, dato che galleggiava in cielo.




Il drago atterrò sopra ad una sporgenza rocciosa e favorì la discesa dei due passeggeri piegando le zampe anteriori. Poi lanciò un specie di rauco grido e volò via.
«Vieni» disse Nilil dirigendosi dentro la città, seguito da Ben.
Tutto appariva limpido e scintillante. Le case erano come di ghiaccio, intagliato con tale finezza che parevano decorate di pizzi e trine. La luce che proveniva dal sole di cristallo, penetrava l'aria azzurra e si rifrangeva da un edificio all'altro saettando con guizzi di surreale bellezza. Benvenuto camminava dietro a Nilil, ammutolito da quello spettacolo emozionante. 
Il nuovo e risoluto amico trasparente lo condusse fin dentro ad una abitazione, dove sembrava che un'intera famiglia li stesse aspettando. Furono accolti con grande gentilezza e Ben si ritrovò circondato da una mamma, due creature piccole e una più grandicella, a occhio e croce della sua età. Notò subito che sembrava meno trasparente degli altri, come a dire... un poco più densa.
«Questa è la mia famiglia» disse Nilil con una luce piena di amore nello sguardo. «E lei è la mia figlia maggiore, Anilila. Ti ho condotto qui, bambino terrestre, perché ha bisogno del tuo aiuto».
Benvenuto osservò Anilila: lei non scintillava come gli altri e aveva un'espressione triste. Pensò che forse era ammalata, però lui non era mica un dottore, e men che meno un dottore extraterrestre!


«Ha perduto la capacità di sognare e l'immaginazione, così ora non può più creare la sua vita. Diventa ogni giorno più densa e la perderemo se nessuno troverà il modo di guarirla» spiegò Nilil.
Ben si avvicinò alla bimba e istintivamente la prese per mano, come faceva sempre con Rosita, la sua compagna di banco, quando la vedeva triste. Pensò che forse Anilila nascondeva un segreto, qualcosa che la tormentava e magari, se fossero stati soli, lei glielo avrebbe rivelato; anche Rosita, quando si sgravava di un peso condividendolo con lui che era il suo migliore amico, stava subito meglio. 
Bastò quel pensiero, che gli fu letto nella mente, perché l'intera famiglia volasse via, lasciandoli soli nella grande stanza lucida e brillante. Anilila si accostò alla finestra tutta intarsiata di cristallino merletto, e rivolse uno sguardo mesto al panorama mozzafiato, dove il sole adamantino giocava con la luce, appeso nel più dolce azzurro che si possa immaginare e dove strane creature volteggiavano come uccelli bianchi. 
Benvenuto si avvicinò a lei e disse: «Nemmeno in un milione di anni saprei immaginare qualcosa di tanto bello come questo vostro mondo».
«Tu cosa sai fare?» chiese Anilila.
«Io sono capace di sognare avventure e, quando le sogno ad occhi aperti, mi sembra di viverle davvero. Così posso andare ovunque. Posso diventare un astronauta che parte per la luna, o un esploratore che cerca un tesoro perduto».
«Sembra divertente» disse Anilila.
«Lo è» rispose Ben. «Ma è soprattutto leggendo le fiabe che viaggio con la fantasia. Scommetto che qui non esistono i libri di favole, perché non ne avete bisogno, voi potete creare qualunque cosa vogliate in qualunque momento».
«Io non so più farlo» sussurrò Anilila. «Tutto è cominciato una notte, dopo l'orribile sogno di un mondo selvaggio, abitato da creature feroci. Si riunivano in grandi gruppi, gli uni contro gli altri, e tentavano di eliminarsi a vicenda. C'era così tanto fuoco! Ho avuto molta paura e non posso dimenticare tutto quel dolore! Da quel giorno ho perduto il sorriso e i miei poteri». 
La bimba concluse il racconto del suo sogno e rivolse a Ben gli occhioni smeraldini, lucidi e belli come due gemme preziose. Ma tanto malinconici che sembravano sul punto di piangere.
«Credo che tu, per qualche strano motivo, abbia visto in sogno il mio pianeta, o forse, chissà, un pianeta molto simile al mio. E hai visto la guerra, una cosa brutta e priva di senso che fanno gli umani» fu la risposta di Ben, che ora aveva lo sguardo altrettanto mesto. Però, le sue stesse parole, accesero in lui nuove riflessioni. Quella bambina aveva perduto i propri fantastici poteri quando la sua mente si era contaminata con la tristezza, la paura e il dolore. Prima di questo fatto, quando era immersa nella pace e nella bellezza, possedeva il potere, come una sua naturale qualità. Allora, forse, è la mancanza di pace che impedisce di essere dei creatori. Sono il dolore, la paura e la tristezza i nemici del potere!
"Wow che scoperta fantastica ho fatto!" disse tra sé e sé.
«Hai ragione!» esclamò Anilila, che non aveva perduto la capacità di leggere il pensiero.
«In realtà, amico mio, la vera natura di tutte le creature è fatta di pace e di armonia. Quindi il dolore, la paura e la tristezza provengono dall'esterno, non sono realmente parte di noi! Se non le lasciamo entrare possiamo mantenere e usare tutto il potere dell'universo!» Ora gli occhioni di Anilila scintillavano di felicità.
A Benvenuto girava la testa. Quella rivelazione era così forte che la sentiva quasi come una deflagrazione dentro al petto. Sapeva di aver appena scoperto un grandioso segreto, e che grazie a quello avrebbe potuto finalmente trasformarsi nel mago che sognava di essere. 
Anilila gli buttò le braccia al collo in un impeto di gioia e lui si accorse che la bimba stava diventando eterea come gli esseri della razza alla quale apparteneva. Capì che in un solo istante, grazie a quello che avevano scoperto insieme, recuperava la salute e tutto il suo potere.
Nilil, la mamma e i fratellini tornarono, volando, proprio in quel momento. 
Una grande felicità si leggeva sui volti luminosi di tutta la famiglia, si percepiva nell'aria azzurra, e persino si udiva, perché i loro cuori stavano cantando di gioia. Sembrava che anche il vento volesse unire la propria voce a quel coro di riconoscenza, e persino il sole di diamante esultava, roteando più veloce e più brillante.
Benvenuto fu preso per le braccia e portato in volo, come un eroe, nella piazza principale della città, dove si erano riuniti gli abitanti per manifestare al bambino la riconoscenza di tutto il popolo di Ighilor.
Lui era al settimo cielo dalla contentezza, tuttavia sentiva turbinare la testa come una centrifuga e aveva cominciato a tremare tutto.
«Presto!» disse Nilil. «Dobbiamo riportarlo indietro, non può reggere più a lungo la velocità di vibrazione che ho dato al suo corpo!»
Mentre il popolo cantava in coro: "arrivederci bambino della terra", Anilila creò un magnifico Unicorno volante, regalo di addio all'amico che aveva salvato la sua vita. La celestiale creatura sfiorò Benvenuto senza perdere tempo ad atterrare; bianco, superbo, con le ali dispiegate nell'azzurro del cielo, era pronto per la cavalcata del viaggio di ritorno. Nilil sollevò il bambino, lo mise in sella e salì a sua volta.



l'Unicorno si librò immediatamente in volo, leggerissimo ed elegante, e sfrecciò così alto nel cielo che sembrò avvicinarsi all'astro di diamante. Non appena giunsero al luogo dove l'automobile di Ben era caduta, il cavallo volante scese morbidamente e i due cavalieri saltarono giù dalla sua groppa, atterrando nella nebbiolina azzurra del suolo. Nilil inviò sul bambino un fresco soffio, come un alito di ghiaccio. Quello speciale raggio freddo rallentò la velocità di vibrazione degli atomi, le palline del corpo di Ben, che perse la trasparenza e riacquistò il suo normale aspetto, consistente e roseo. 
L'Unicorno strofinò il suo muso contro la fronte del bambino in un tenero gesto d'affetto, poi si alzò in volo grazie a tre poderosi battiti d'ala, e scomparve. 
Ben sentì immediatamente una fitta di nostalgia dentro al cuore. Avrebbe dato chissà cosa per portare il celestiale cavallo con sé, nel suo mondo. 
Guardò dentro l'automobile per vedere se il papà dormiva ancora. Si stava svegliando proprio in quel momento, ma aveva gli occhi chiusi e sbadigliava, come sempre ignaro di tutto. 
La vettura era indenne e non gli restava che salire; sapeva che l'uragano sarebbe riapparso per condurlo, questa volta, chissà dove. 
Guardò Nilil che lo stava osservando con grande dolcezza ma, allo stesso tempo, con una sfumatura di malinconia nel sorriso.
«Nilil, devo farti una domanda» disse avvicinandosi all'amico etereo. «Qual'è la cosa più importante dell'universo?» 
Quella domanda, che aveva sentito porre dal terribile elfo Palantir durante la sua prima avventura, non smetteva di tormentarlo e aveva deciso di farla a tutti i nuovi amici dei mondi che visitava. Qualcuno prima o poi avrebbe dato la risposta giusta!
«La pace interiore» rispose Nilil senza esitare.
Certo, la pace interiore era il requisito che dava agli abitanti di Ighilor i loro grandi poteri, anzi, li dava a tutte le creature, come Ben aveva scoperto. Ma era davvero quella la risposta corretta?
Salì in auto dopo un'ultimo saluto, senza abbracci perché non lo poteva toccare il corpo di Nilil, e si allacciò la cintura di sicurezza in attesa del ciclone. 
Un fischio tremendo ne annunciò l'arrivo, puntuale, fragoroso e ballerino come al solito, e puntualmente il papà, ormai del tutto sveglio, cominciò a gridare concitate parole di conforto al figlio. 
Mentre si chiedeva dove sarebbero finiti questa volta, Ben sentì qualcosa di acuminato pungergli il sederino. Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e... sorpresa! Un piccolo Unicorno di cristallo era lì, tra le sue mani, che tremavano per l'emozione. Come ci era finito nella tasca posteriore dei suoi calzoncini? 
In quel momento udì un messaggio telepatico di Anilila:
«Desideravi tanto portare l'Unicorno con te, quindi l'ho reso possibile! Ora starete sempre insieme. E la notte, quando avrai voglia di viaggiare con la fantasia, lui si trasformerà di nuovo nel magnifico destriero volante e ti condurrà ovunque vorrai».
Ben si portò il cavallino al petto; non poteva ricevere dono più bello. Forse anche l'Unicorno della mamma, quello che incidentalmente lui aveva rotto, era stato il magico destriero di quando era bambina? Decise di regalarle il suo, non appena fossero tornati. 
Chiuse gli occhi, colmo di gratitudine e commozione, mentre l'automobile veniva risucchiata dal tornado e ricominciava la sua danza attraverso lo spazio e il tempo.
































Il bambino nasce perfetto


Se c'è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.
Carl Gustav Jung

Incoraggiate i bambini a guardare il cielo

Incoraggiate i bambini a guardare la volta celeste. Insegnate loro le costellazioni o semplicemente fateli giocare a "immergersi" nel profondo blu e a galleggiare tra le stelle. Lo ameranno moltissimo. Alzare lo sguardo al cielo eleva lo Spirito, collega al divino. Facciamolo insieme a loro: è meraviglioso!


Signore, proteggi tutti i bambini del pianeta, tutte le mamme, i papà, i fratelli, tutti gli esseri umani, gli animali e le piante. E non dimenticarti degli scoiattoli. Amen.

Il Vero Amore



Cuori che pulsano uniti
scandiscono Generosità
vibrano Tenerezza
palpitano Compassione
respirano Cura,
armonici rintocchi di melodie
che danzano gli Angeli
e nasce Amore.
Ma l'Amore genera altro Amore
e cresce, si espande,
contagia ogni forma di vita e la trasforma.
Allora la danza degli Angeli
diventa preghiera alla divinità dell'uomo.

Grazia Catelli Siscar

Il dono dell'amore



"Ti regalerò il sole" disse lui "
"No, appartiene alla terra" rispose lei
"Ti porterò la luna"
"No, amo pregarla nel blu della notte"
"Di preziosi diamanti adornerò il tuo collo"
"No, è una torre d'avorio perfetta"
"Ti canterò le canzoni d'amore più belle"
"No, è il sussurro della natura il più bel canto d'amore"
"Tesserò abiti con fili d'oro per te"
"No, io vesto solo di candida tela"
"Troverò un profumo raro per fartene dono"
"No, anche l'umile viola possiede il più celestiale profumo"
"Cosa vuoi, dunque, per amarmi?"
"Il divino sorriso di quand'eri bambino"

Grazia Catelli Siscar

Filastrocca del mago




Un bel bimbetto mago
che aveva un po'paura
divenne un grosso drago
in una notte scura.
Sputava tanto fuoco
per rischiarare a giorno
ma non solo per gioco
voleva luce intorno!
Volò nel cielo blu e
invano la sua mamma
cantava torna giù
con una ninnananna.
Ma tanto lei cantò
che ebbe nostalgia
e a casa ritornò
usando la magia.
Poi si era ricordato
a dir la verità
che un mago diplomato
paura mai non ha.

Insegnate ai bambini le leggi del Cielo




Rispettate la fiamma dei bambini senza forzarla, senza deviarla secondo il vostro volere. I bambini sono spiriti più liberi degli adulti. Ascoltate i bambini da dentro perché, spesso, avete a che fare con grandi spiriti che vi possono insegnare. Insegnate ai bambini le leggi del Cielo, prima che qualcuno s'impossessi della radiosità del Cielo mettendoci altre cose".
(Dal libro: Qui con me, dentro di voi Io sono Anima edizioni)

Un dono d'amore sotto l'ombrellone


Molti adulti sono dei bravi favolisti senza nemmeno saperlo; basterebbe che aprissero i cancelli della fantasia ed entrerebbero nel magico mondo dell'infanzia. Un dono stupendo e un'occasione per il divertimento di grandi e piccini, è quello di inventarsi cantastorie per un giorno. E creare, lì per lì, una fantastica avventura per i vacanzieri in erba, vicini di ombrellone. In breve tempo, una minuscola folla si avvicina... timidamente... quasi in punta di piedi, e ci si ritrova circondati da tante piccole anime che ascoltano con le bocche aperte in un silenzio quasi mistico. Un'esperienza bellissima che ho sperimentato molte volte. Gli altri genitori possono fare il bagno tranquilli, oppure rilassarsi un poco, ed è bello poi scambiare le parti. Tuttavia, aspettatevi qualcosa di insolito: accanto ai piccoli, seduti sulla sabbia, arriveranno anche nonni, fratelli maggiori, zii e altre mamme e papà, si siederanno ad ascoltarvi rapiti e torneranno bambini. Non è meraviglioso?


La spiritualità dei bambini




Prendersi cura di un bambino è un privilegio e al tempo stesso un grandioso compito, affidato a genitori, nonni e insegnanti .
Queste piccole, straordinarie creature, sono tuttavia patrimonio dell'intera comunità.
Ogni adulto è per loro un modello e un esempio, il vicino di ombrellone in spiaggia come il gelataio, la mamma del compagno di banco come il meccanico di fiducia del papà.
Ogni adulto, accanto a un fanciullo, deve  camminare in punta di piedi; essi sono come teneri fili d'erba sui quali non vanno lasciate impronte ma solo orme di percorsi che conducono alla bellezza e all'armonia.
Di queste qualità è fatto il mondo che hanno da poco lasciato per giungere qui, di armonia e bellezza. Preoccuparsi del giusto nutrimento perché crescano forti e sani è importante, ma del loro nutrimento spirituale ci si occupa a sufficienza? E cos'è il nutrimento spirituale?
L'anima dei bambini ne è affamata, come anche quella degli adulti, che però hanno bisogno di un doloroso percorso di recupero per riappropriarsi dell'innocenza e della verità perdute.
E' quindi vitale far sì che ai piccoli non venga tolto questo patrimonio.
Il nutrimento spirituale è permettere loro di non dimenticare la matrice divina, il grembo di luce del quale sono realmente figli.
E' lasciarli esprimere quella magia nella quale credono, o meglio della quale non hanno ancora dimenticato completamente il potere.
Perché crescano con una solida fiducia in se stessi, devono interpretare il mago e la fata che sono davvero; allora materializzeranno sogni, diverranno artefeci di gloriosi destini, paladini di una nuova era, il nuovo popolo di una umanità risvegliata.
L'atto d'amore più poetico che un adulto può offrire a un bambino è quello di leggergli una fiaba.
Le favole di qualità sono portali fatati che conducono alle dimensioni dello spirito, ponti alchemici per la conoscenza perduta.
L'essere umano è uno stregone e un creatore, e se un adulto possedesse ancora la visionaria attitudine di un bambino, tra le sue mani avrebbe la bacchetta magica della felicità.

Le magiche avventure di Ben - 2. La fata Amistad

Nella prima puntata avevamo visto Ben incontrare lo Gnomo Bellissimo. Potete rileggerla a questo link oppure scorrere velocemente il seguente riassunto.

(Riassunto puntata 1)
Tutto era iniziato in un fresco pomeriggio di marzo, quando Alfredo, il papà del piccolo Ben, aveva deciso di comprare per il figlio un nuovo libro di favole. Sembrava un giorno come tanti, a parte l'eccitazione del bambino che non vedeva l'ora di accompagnare il padre per ricevere il regalo e tuffarsi in una nuova, appassionante lettura. L'automobile si era accesa gracchiando come sempre, e come sempre la mamma aveva salutato Alfredo e Ben dalla finestra, con addosso il grembiule da cucina e un mestolo in mano: stava preparando una delle sue solite, magnifiche crostate. Invece non si trattava affatto di un giorno come gli altri: durante il viaggio, padre e figlio erano stati sorpresi da un uragano violentissimo che li aveva risucchiati e poi sputati sopra una terra magica e sconosciuta. Mentre il papà dormiva, colto da un profondo e inspiegabile sonno, Ben era andato in cerca di aiuto, tutto solo in quel luogo bizzarro, popolato da creature sorprendenti... Infine, grazie all'aiuto di nuovi amici, tra cui gli gnomi, Ben era riuscito a entrare dentro un tunnel spazio-temporale e a raggiungere il suo mondo, ma uscendo dal tunnel si era ritrovato dentro la macchina, che ancora girava vorticosamente al centro dell'uragano.

 

LA FATA AMISTAD 

«Reggiti forte figliolo!» gridò il papà di nuovo sveglio, mentre l'auto veniva scagliata in aria a forte velocità, in quel cielo così rosso che pareva incendiato.
Dopo una serie di piroette e saliscendi, degni della più spericolata delle montagne russe, l'auto si schiantò al suolo in un fragore tremendo. Con il cuore in gola per lo spavento, Ben slacciò la cintura di sicurezza e si arrampicò per andare sul sedile anteriore, di fianco al papà, che grazie al cielo stava bene. Lo trovò addormentato come nella precedente avventura e con il medesimo sorriso sul volto. Allora prese a calci la portiera, che a causa della gran botta si era incastrata, e fece anche un salto acrobatico per scendere, perché la macchina era caduta in piedi, come un siluro.
Atterrò su di un soffice prato, ma era tutto buio, vedeva a malapena le sagome degli alberi. Come mai era scesa la sera tanto in fretta?



S'incamminò nella penombra, passo dopo passo, fermandosi a ogni più piccolo rumore, guardingo come un gatto. Avrebbe voluto avere accanto il padre in quel momento e non trovarsi tutto solo nelle tenebre, di nuovo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo.
Patapum! All'improvviso il suolo sotto ai suoi piedi venne a mancare: era finito in un precipizio e stava rotolando giù come un sasso.

«Ti sei fatto male?» una vocina sottile e dolce spuntò dall'oscurità.
«Dove sei? Non riesco a vederti» disse Ben mentre tentava di rialzarsi.
«Sono qui» rispose la vocetta, che ora sembrava più vicina e un po' piagnucolosa.
Allora Ben provò a scrutare nel buio e intravide una figurina piccola piccola: gli arrivava sì e no alle ginocchia. Era come una bambina in miniatura, ma con le orecchie a punta e due alucce trasparenti come ali di libellula.
«Tu chi sei?» chiese la creatura.
«Io sono un bambino, e tu?»
«Non lo so» rispose lei, e cominciò a piangere sommessamente.
«Non lo sai?» Ben era interdetto, oltre che intenerito da quel pianto.
«Non lo so! Non so più chi sono, l'ho dimenticato! Puoi aiutarmi?»
«C'è molto buio» rispose il bambino. «Tuttavia direi che sembri... una fata
«Ah già è vero! Sono una fata!» esclamò l'esserino.
«Aspetta» disse Ben che si era ricordato in quel momento di avere con sé il corredo da esploratore tascabile, il quale comprendeva una bussola per orientarsi, una lente d'ingrandimento per osservare gli insetti e accendere il fuoco (ebbene sì, per accendere un fuoco basta un raggio di sole e qualche foglia secca...), un coltellino multiuso, e una piccola, provvidenziale torcia. Quindi l'accese per guardare bene la fata.
«Non c'è dubbio, sei proprio una fata. E come sei carina!»
Non poté trattenere quell'esclamazione. Era davvero deliziosa, tutta verde come uno smeraldo, il viso dolcissimo e quelle ali talmente delicate da sembrare di cristallo. Inoltre luccicava, perché a ogni movimento diffondeva nell'aria una polverina dorata.



«Grazie». La fata sbatté gli occhioni timida e vanitosa al tempo stesso. Poi gridò squillante: «Magia!»
«Cosa?» chiese Ben che aveva fatto un salto per il grido inatteso.
«La luce!» disse lei.
«Ma no, è solo una torcia. Un piccolo congegno che serve per vedere al buio».
«Voglio dire che "io" so fare la magia della luce! Me ne sono ricordata grazie a te».
Wow! E sai fare anche il buio?» chiese Ben, oltremisura affascinato dalle questioni magiche.
«Non c'è bisogno di fare una cosa che non esiste, basta spegnere la luce!»
«Vuoi dire che non esiste il buio? Ma era buio un attimo prima che io accendessi la torcia!»
«Sì era buio, ma solo perché mancava la luce» rispose la fatina.
«La luce si può misurare: è fioca, brillante, intensa o abbagliante. Puoi forse, al contrario, misurare il buio? Non puoi, perché si tratta solo di luce che non c'è, o meglio, di luce al minimo possibile».
Ben si grattò la testa pensieroso. In effetti, quello che diceva la fata era proprio sensato.

«Guarda» riprese lei. «Una piccola luce annienta oscurità immense. È potentissima. Il buio, al contrario, non può mica spegnerla la luce!»
«E da dove viene? Chi l'ha inventata?» chiese il bambino.
«Il Creatore di tutte le cose, chi altri? Lui crea solo cose potentissime!» la fata lo disse con un bisbiglio, come un segreto rivelato.
«Questo tizio ha creato tutto, ma proprio tutto?»
Nella mente di Ben cominciavano a ribollire milioni di domande.
«Sì, tutto!» La creatura chiuse gli occhi e alzò le sopracciglia per assumere un'aria solenne e dare più vigore alla sua affermazione.
«Ma... allora non ha fatto solo cose buone. Ha inventato anche la malvagità! Era proprio cattivo il ladro che rubò la borsetta alla mia mamma l'anno scorso! Lei è una persona buona e generosa, non si meritava una cosa simile».
«No no, la cattiveria, non esiste. Il Creatore ha inventato solo l'amore. Il male è amore che non c'è!».

La fata guardò il cielo stellato, poi socchiuse gli occhi e respirò profondamente l'aria fresca della notte; era felice perché quando parlava dell'amore si sentiva parte di tutto l'universo.
«Un soffio d'amore asciuga le lacrime e fa spuntare il sorriso, scalda il cuore e scaccia la solitudine. Un pizzico d'amore guarisce tonnellate di dolore, cancella i pensieri tristi e porta allegria, scardina serrature arrugginite da secoli di rancore. Un cucchiaino d'amore basta a illuminare il buio del male più sconfinato. Ed è contagioso! Corre veloce come la luce, e come la luce si comporta».
Ben ascoltava rapito, ma faticava a comprendere.
«Non ha inventato nemmeno la malattia del mio vicino di casa? È così piccolo... soffre tanto e i suoi genitori piangono sempre!»
«No, non ha inventato la malattia. Esiste solo la salute, che qualche volta si affievolisce, come una luce che diventa più debole. E come arriva il buio quando la luce si nasconde, così arriva la morte quando si spegne la salute. Tuttavia la luce esiste ancora, ed è la stessa cosa per chi muore: esiste ancora, però altrove». «Davvero?» chiese Ben con ammirazione per tutte le cose che sapeva la fatina.

«Nel vostro mondo» continuò lei «per capire o misurare qualunque cosa, avete bisogno del suo contrario. Per esempio: come fai a sapere che il caldo esiste e come fai a misurarlo se non hai mai sentito freddo?»
«Forse ho capito!» esultò Ben.
«Il Creatore ha inventato solo cose buone, perché lui è luce, amore, salute, calore» concluse la fatina. «Ooooh!» i polmoni di Benvenuto soffiarono fuori un'espressione di profondo stupore.
Quella visione della realtà cambiava tutto, ed era così confortante e bella che sentì il petto accendersi improvvisamente di una fiamma strana e meravigliosa.

«Magia!» gridò nuovamente la fatina.
«Quale, adesso?» chiese Ben euforico.
«Il tuo cuore, si è acceso! Mi sono ricordata che so leggere dentro ai cuori!»
«Che bella magia è questa!» disse il bambino con una gioia incontenibile.
«Puoi farlo anche tu, è facile!»
«E come?» ora Ben aveva gli occhi sgranati.
«Basta leggere dentro alle persone! A proposito, che libro di favole vuoi comprare?»
«Come fai a sapere che voglio comprare un libro di favole?»
«Magia! Mi sono appena ricordata che so leggere anche il pensiero!» rispose la fata con un largo e buffo sorriso che scoprì la sua fila di dentini bianchi come perle.
«Wow! È così che mi hai letto nel cuore e nella mente?» chiese Ben affascinato, stupito, felicissimo, esaltato e altre mille emozioni tutte insieme che non avrebbe saputo descrivere.
«Sì, è così».

La fatina si era avvicinata a Ben e aveva cominciato a sbattere velocemente le ali, generando una luce bellissima e dorata.
«Spegni la torcia, non ce n'è più bisogno» aggiunse, e si librò nell'aria, brillante come una gigantesca lucciola. «Aspettami!» gridò Ben. «Io non so volare, non sono una fata, sono umano!»
«E dici poco? Siete esseri molto potenti, ma non lo sapete. Voi usate meno di un millesimo delle vostre reali capacità!» La fata parlava svolazzando davanti al bambino, mentre sprizzava scintille e pulviscolo d'oro.
«Qui sei nel regno della magia, dove tutto è possibile, pensalo, credici, e volerai» aggiunse.
Ben si fidava della piccola amica, inoltre lo aveva sempre pensato di essere un mago, quindi si concentrò sul volo, immaginò di sollevarsi leggero come una piuma e hop... si alzò da terra e... galleggiò nell'aria senza peso. Che sensazione fantastica!
«Magia! Stai volando!» esclamò l'esserino fatato per l'ennesima volta, e la sua risata cristallina echeggiò nella notte.
«Dove andiamo?» chiese il bambino, facendo una capriola non voluta che lo mandò quasi a sbattere contro un albero: non aveva ancora dimestichezza con il potere del volo.
«Non lo so» ammise la fatina. «Forse a cercare qualcuno che sappia aggiustare la tua automobile?»
Poi aggiunse felice «Magia! Mi sono ricordata che ho la vista telescopica! Vedo la tua macchina piantata in verticale come un siluro e tutta malconcia!»



Partirono alla ricerca di aiuto la fatina, leggera e aggraziata che da guardare era una delizia, e Benvenuto dietro, affatto elegante, che ondeggiava evitando pericolosamente gli alberi per un soffio; ma insomma, non se la cavava niente male per essere al suo primo volo...
Boom!
Come non detto. Questa volta andò a sbattere davvero contro qualcosa, o meglio qualcuno, sbucato all'improvviso da un cespuglio, e cadde a terra.
Quando alzò gli occhi ebbe un grande spavento. Un orco gigantesco incombeva su di lui e non aveva per niente un'aria amichevole. Anzi, a dirla tutta stava digrignando i denti gialli; gialli e minacciosi come gli occhi, che sembravano quelli di un felino.



«Aiuto!» gridò Ben.
La fata accorse al grido del suo piccolo amico e si parò davanti all'orco, con le mani sui fianchi e una smorfia di disapprovazione sul volto.
«Beh? Si spaventano in questo modo le persone? Vergogna!» disse puntando il ditino contro il gigante.
«Puoi fare un sacco di cose, e buone, tanto per cambiare! Guarda lì che muscoli! Ti affido subito una buona azione se vieni con noi».
«Un orco che fa una buona azione? Ma dico, sei impazzita? Che fine farebbe la mia reputazione di orco cattivo?» rispose il gigantesco essere.
«Pensa...» disse la fata, mentre con la mano faceva un gesto ampio, come se volesse mostrare lo schermo di un cinema immaginario. «Pensa che tutta la gente, invece di scappare terrorizzata al tuo passaggio, ti acclamerebbe come un eroe. Anzi, un supereroe, con lo straordinario potere della forza! Saresti portato in trionfo!»
«Sono orrendo, scapperebbero tutti ugualmente!»
L'orco rispondeva girando la testa da tutte le parti per guardare la fata che gli svolazzava intorno, e nonostante l'espressione da ebete e le braccia a penzoloni, uno strano guizzò lampeggiava nei suoi occhi: aveva voglia di acchiapparla e mangiarsela!
«No, vedrebbero solo la bellezza del tuo cuore» disse lei che, notando quel guizzo assassino, si era allontanata per prudenza.
«Sono cattivo» obbiettò ancora l'orco.
«No, non lo sei, hai solo dimenticato che puoi essere buono».
La fatina, come ogni femmina, possedeva l'arte raffinata della persuasione, che è molto più forte dei muscoli. E al gigante passò la voglia di mangiarla.
«Potresti sempre mettere una maschera per nascondere il viso, come fanno i supereroi!» disse Ben, il quale stava tentando di spiccare nuovamente il volo, ma subito dopo avrebbe avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole perché gli sembrarono offensive.
La fata si girò verso di lui e ridacchiò silenziosa per non farsi vedere dall'orco.
Ma Rescatado - questo era il nome del gigante - non si offese, al contrario prese l'idea di Ben per il verso giusto e disse: «Posso avere anche un mantello?»
Poi abbassò la voce e si chinò per avvicinare la bocca all'orecchio dei due nuovi amici.
«Che resti fra di noi, ma io ho sempre sognato di diventare un supereroe!»
La fata e Ben dovettero fare un grande sforzo a quel punto per non ridere; invece il bestione, con un senso di autoironia davvero inatteso, scoppiò in una risata tanto fragorosa da far tremare la terra.
«Bene, seguitemi!» ordinò la fata e svolazzò luminosa per fare strada al gruppo.



In un baleno arrivarono al luogo del disastro, dove la macchina di Ben era piantata a testa in su con dentro il padre addormentato. L'orco la sollevò come fosse stata un ramoscello e la rimise sulle quattro ruote.
«È proprio malridotta, chissà se funziona ancora?» disse Ben.
«Magia!» esclamò ancora una volta la fatina.
«Mi sono appena ricordata che so aggiustare le cose!»
E in men che non si dica, grazie alle sue arti magiche, fece tornare l'auto come nuova, persino meglio di come era prima che l'uragano la sbatacchiasse su e giù tra cielo e terra.

«Perfetto!» disse l'orco. «Qui ho finito, vado a scuoiare una pecora per farmi il mantello!»
«Nooo!» gridarono la fata e Ben insieme.
«Hai già dimenticato che ora sei un eroe? Gli eroi non vanno in giro a scuoiare animali innocenti!» continuò la fata. «Vai da maga Tejedora. Tesserà un mantello su misura per te».
«Ah già, è vero, adesso sono buono! Humm... però... Tejedora mi trasformerà in rospo non appena mi avvicinerò alla sua casa. Mangiai il suo gatto nero lo scorso Natale. Insomma, avevo fame!»
L'orco ammise quella colpa con un sorriso da mascalzone pentito.
«Oh, benedetto ragazzo!» sospirò la fata alzando gli occhi al cielo.
«Dille che hai scelto di essere buono, ti perdonerà».



 «Va bene» rispose l'orco grattandosi il testone pelato. «Credo che me lo farò fare verde il mantello, dovrebbe intonarsi con la mia pelle gialla!» aggiunse, e se ne andò canticchiando felice.
«Ciao e grazie» disse Ben, che mentre lo guardava allontanarsi considerò come, in fondo, non lo vedesse più tanto brutto. Anche senza una maschera.

Era il momento dei saluti, doveva dire addio alla fata.
«Grazie di tutto» disse lei, che parlò per prima e tirò su col naso perché era commossa.
«Grazie per cosa? Non ho fatto niente, io, per te».
«Non è così amico mio, hai fatto moltissimo invece! Mi hai aiutata a ricordare chi sono e quante cose meravigliose so fare!»
«E tu hai aiutato me affinché potessi tornare a casa!» ora anche Ben tirava su col naso, perché l'idea di separarsi dalla fatina lo rendeva triste e aveva voglia di piangere.
«Questa è l'amicizia, bambino. Fare un po' di strada insieme, a volte breve, a volte lunga, e aiutarsi l'un l'altro. In compagnia il viaggio diventa molto più facile e interessante».
Ben l'abbracciò, ed era talmente leggera che gli parve di abbracciare l'aria, ma sentì fortissimo il calore del suo cuore.



 «A proposito...» chiese Ben. «Tu come ti chiami?»
«Amistad» rispose la fata, appoggiando con tenerezza la sua testina sulla spalla del bimbo.
«Amistad, tu sai qual è la cosa più preziosa dell'universo?» chiese ancora Ben, girandosi un'ultima volta verso di lei. La domanda gli ronzava nella testa dalla prima avventura.
«Humm... forse la memoria di chi siamo realmente?» La fata disse così perché era quella per lei la cosa più importante.
Ogni essere che Ben incontrava dava una risposta diversa.
Qual era la verità assoluta? E ne esisteva davvero una sola?

Appena il bambino salì sull'auto e chiuse la portiera, tutto cambiò. D'improvviso era di nuovo dentro l'uragano, nel turbine dell'aria impazzita, scarlatta come sangue.
Il padre si era svegliato e gridava: «Hai la cintura allacciata figliolo? Tieniti forte, passerà presto!»
«Sì papà!» gridò Ben a sua volta, mentre si chiedeva se davvero quel finimondo sarebbe finito presto. Cominciava anche ad avere fame. E pensava alla crostata della mamma che li aspettava al ritorno.


Filastrocca dei balocchi


Nel paese dei balocchi hanno tutti quattro occhi
Due che servon per guardare e precisi lavorare
Gli altri due sono speciali come strani e buffi occhiali
San vedere la magia di ogni cosa che ci sia.

Nel paese dei balocchi hanno tutti quattro gambe
Due per correre e saltare dentro ai fossi e far gli sciocchi
Le altre due che sono strambe
Perché servono a volare.

Nel paese dei balocchi hanno tutti un doppio cuore
Uno batte regolare con precisi e bei rintocchi
L'altro splende a tutte l'ore come un sole per amare.

Credere di essere




Credere davvero di essere - essere chiunque - ci permette di diventare chiunque. I bambini lo sanno: guardateli mentre giocano, fanno finta di essere, e se gli adulti non spengono la loro fantasia, potranno essere realmente ciò che di più grande riescono a sognare. Dobbiamo re-imparare da loro.
Leggete le favole ai piccoli, per aiutarli a ricordare la magia dell'esistenza.